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La vita familiare

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La vita familiare


Per essere integrato nella comunità, il bambino doveva sottoporsi ad una doppia educazione, corporale e sociale. L’educazione corporale iniziava con le culle per il sonno, con i sostegni per il controllo dei movimenti, per l’apprendimento della posizione eretta e dell’equilibrio, con gli utensili per l’alimentazione.

C’erano due forme tradizionali di culla: la “naca” appesa al soffitto e la culla a dondolo. Spesso dotate di piedi a mezzaluna per consentire l’oscillazione, le culle hanno dimensioni variabili; piccole per i neonati, più grandi per i bambini fino ai due anni. Le dimensioni variano anche in relazione al tipo di culla, portatile o fissa. La “naca” era in tela, mentre la culla era in legno o in ferro.

L'abbigliamento infantile era molto povero: camicini, corpetti, giubbetti, cuffie, calzini e fasce in lino e cotone, alcune ricamate con scritte augurali. L’usanza di fasciare il corpo dei neonati aveva lo scopo di mantenere dritte le membra, di impedire ai bambini di graffiarsi e di preservarli dal freddo. L’educazione iniziava con l’imitazione del comportamento e delle attività lavorative dei genitori, della madre per le femmine, del padre per i maschi. Il gioco occupava un ruolo centrale nell’apprendimento della realtà e delle regole sociali, e spesso i giocattoli rappresentavano il mondo circostante, naturale e culturale: animali, utensili domestici, attrezzi per il lavoro, figure umane. Si tratta di oggetti talvolta realizzati dai bambini con il legno e la terracotta degli artigiani, o con le forme offerte in natura dalle ghiande, dai rami, dai sassi, per i giochi di lancio e di destrezza ad esempio le trottole.

Il ciclo della vita era scandito dai riti che segnano il passaggio da un’età all’altra: il battesimo, il fidanzamento, il matrimonio, gli anniversari, i funerali sottolineano gli aspetti della storia personale condivisi con il gruppo di appartenenza. Il battesimo sanciva l’ingresso del bambino nella comunità dei cristiani, la comunione sottolineava la sua entrata nell’adolescenza; i rituali nuziali, dal fidanzamento al matrimonio, inserivano gli individui nella società; le cerimonie funebri rendevano tollerabile, con la condivisione, il dolore del distacco.

I “pegni d'amore” rappresentavano quella fase della vita che prelude al passaggio nello stato matrimoniale. Sono doni di fidanzamento alcuni strumenti per il lavoro femminile, che preannunciano le attività della donna nel suo futuro ruolo di moglie e di madre, ad esempio le rocche, decorate secondo una simbologia d'amore e di fertilità o con figure umane e zoomorfe. Simboli che alludono all’unione sono presenti anche in alcuni anelli di fidanzamento: due mani che si stringono o che sorreggono un cuore, le colombe, la doppia spola e la doppia foglia. Un esempio di dono femminile agli uomini è rappresentato da alcuni fazzoletti ricamati, che recano sul bordo versi amorosi indirizzati al futuro marito. Era compito della donna fornire in dote matrimoniale il corredo, normalmente custodito in cassapanche e cassoni, spesso decorati. In ambito folklorico la concezione della malattia comportava il ricorso ad adeguati rituali magico - terapeutici. Anche la preghiera e il pellegrinaggio al santuario o luogo sacro si possono considerare modalità terapeutiche, quando l’oggetto delle richieste sia la guarigione. Lo dimostrano le storie degli ex voto pittorici, con le loro immagini di malattie e disgrazie, spesso sovrastate da iconcine di santi e madonne che hanno contribuito alla salvezza.

Il ciclo della vita biologica si chiudeva con la morte, che è occasione di riunione della famiglia e di socializzazione dell’evento attraverso i funerali. Il passaggio dal vecchio equilibrio rappresentava una fase di instabilità per il gruppo sociale, una forte trasformazione della realtà. Tale cambiamento è rappresentato anche dal passaggio materiale del morto dallo spazio della casa allo spazio del cimitero, con il corteo funebre, composto dai parenti e dalla comunità. I costumi del lutto comunicheranno in seguito la memoria dell’assenza, rinnovata e resa pubblica nella vita quotidiana. Nella socializzazione del cordoglio, attuata dalla pratica del lamento funebre lucano, formule stereotipe ripetute, gestuali, verbali e musicali, forniscono un sistema di rielaborazione del dolore condiviso dalla comunità. L’interpretazione è affidata a esecutrici femminili, che sollecitano la manifestazione del dolore da parte della persona colpita dal lutto, in una sorta di catarsi guidata. Il superamento poteva avvenire soltanto con la piena espressione della crisi entro i canoni forniti dalla tradizione, che trovava le sue radici nel pianto rituale della cultura classica e delle civiltà del Mediterraneo.

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